Uno dei Classici della letteratura italiana, poeta e autore tragico


Vittorio Alfieri. L’infanzia astigiana

Nel primo capitolo della Vita, l’autobiografia di Alfieri, uno dei romanzi più appassionanti del Settecento, si legge “Nella città d’Asti in Piemonte, il dì 17 di gennaio dell’anno 1749, io nacqui di nobili, agiati, ed onesti parenti”, con evidente errore nell’indicazione della data, essendo egli nato il giorno 16 gennaio. Suo padre, il conte Antonio Amedeo, morì quando il piccolo Vittorio non aveva ancora compiuto un anno. Alfieri legò alla città di Asti i ricordi più vividi della propria infanzia: la scoperta dei sentimenti e delle passioni, l’intenso legame con la sorella Giulia, la formazione del proprio carattere malinconico e orgoglioso.

Gli anni torinesi dell’adolescenza

L’abbandono di Asti coincise con la partenza per l’Accademia Reale di Torino, nel 1758, su suggerimento dello “zio paterno, il cavalier Pellegrino Alfieri”. Nonostante il giudizio negativo espresso dal poeta nella Vita, gli anni dell’adolescenza furono fondamentali per lui, per la frequentazione, in Accademia, di giovani nobili provenienti dal resto d’Europa e per la nascita di grandi passioni, come quelle per i cavalli, per la musica e il teatro, queste ultime grazie alla vicinanza del cugino, l’architetto Benedetto Alfieri, che lo introdusse, al Teatro Regio (da lui progettato) e al Teatro Carignano, all’ascolto delle “opere buffe”, messe in scena nelle stagioni teatrali torinesi.

La giovinezza e la scoperta dell’Europa

Nel 1766, al termine degli studi, assunto il ruolo di “porta-insegna nel Reggimento Provinciale d’Asti”, insofferente della disciplina militare, ottenne licenza di viaggiare. Si susseguirono, così, i soggiorni a Parigi e a Londra, in Olanda e in Danimarca, a Berlino e a Pietroburgo, a Madrid e a Lisbona. In carrozza, con bauli di libri, accompagnato da un servo molto esperto, che era stato per vent’anni al servizio dello zio Pellegrino, sfidando una natura spesso ostile, frequentando regge e locande, vivendo le prime intense passioni d’amore, i suoi viaggi rappresentarono una sorta di “grand tour” dal sud dell’Italia al nord dell’Europa, opposto a quello dei giovani nobili europei che “scendevano” in Italia dai paesi del nord, sensibili al richiamo della natura, del clima, dell’arte.

Ritorno a Torino e successivo abbandono del Piemonte

Rientrato a Torino nel maggio del 1772, presa dimora nella “magnifica casa” di piazza San Carlo, non solo riunì gli amici torinesi nel proprio salotto e compose i primi scritti satirici in francese, ma diede avvio alla svolta della sua vita, con lo studio della lingua italiana e l’abbandono del francese (lingua da lui posseduta, in quanto nobile piemontese) e la scelta della letteratura, in particolare della scrittura per il teatro tragico.
La svolta decisiva si ebbe nel 1778, anno della donazione di tutti i suoi beni alla sorella Giulia in cambio di un vitalizio, in modo da liberarsi dei doveri di vassallaggio rispetto al sovrano e da poter lasciare il Piemonte, mettendosi nella condizione di non dover sottostare al giogo di un inaccettabile controllo della censura, particolarmente rigido nel Piemonte sabaudo.

Gli anni centrali della maturità

Lasciata Torino, Alfieri visse per lo più in Toscana, con soggiorni a Roma e in altre città italiane, in anni contrassegnati dalla composizione e dalla prima stampa, a Siena, delle tragedie. La riflessione sulla violenza del potere, centrale nel suo teatro, è condotta anche nei trattati politici, mentre le rime costituiscono una sorta di diario in versi. Sono gli anni in cui nascono le intense amicizie senesi e, nel 1777, l’amore, a Firenze per Luisa Stolberg, contessa d’Albany, la donna che sarà al suo fianco fino alla sua morte.
Trasferitosi a Parigi con lei, alla fine degli anni Ottanta del secolo, per seguire la ristampa parigina delle tragedie, testimone della presa della Bastiglia, Alfieri si appassionò agli avvenimenti rivoluzionari del 1789. Allo scoppio delle violenze che ne seguirono, tuttavia, la coppia dovette precipitosamente lasciare la capitale francese, abbandonandovi tutti i beni e i libri, che egli aveva portato con sé dall’Italia.

L’ultimo decennio a Firenze

Alfieri visse gli ultimi dieci anni a Firenze, con la contessa d’Albany, dedicandosi allo studio del greco, alle traduzioni, alle satire e alle commedie; più volte interpretando, egli stesso, alcuni personaggi delle sue tragedie. In una lettera del 28 febbraio 1797 al letterato astigiano e uomo politico Francesco Morelli conte d’Aramengo (1761-1841), facendo riferimento alla propria biblioteca fiorentina, creata riacquistando i libri dispersi a Parigi durante la rivoluzione e altri aggiungendone, Alfieri espresse l’intenzione di “farne un lascito alla nostra città in testimonio del mio affetto per quel dolce terren ch’io toccai pria”.
Alla sua morte, tuttavia, avvenuta l’8 ottobre 1803, questo non avvenne: Luisa Stolbeg, sua erede universale, lasciò in eredità infatti gran parte delle sue carte e dei suoi libri al pittore francese F.-Xavier Fabre, che li trasferì a Montpellier, sua città natale.

Il presente

Vittorio Alfieri è sepolto a Firenze, nella basilica di Santa Croce. Il monumento funebre è opera dello scultore Antonio Canova. I tre centri principali per gli studi e per la conservazione delle carte e dei libri antichi della sua biblioteca sono la Mediatheque Centrale di Montpellier, la Biblioteca Laurenziana di Firenze, l’Archivio e la Biblioteca del Centro Nazionale di Studi Alfieriani, ora Fondazione, con sede ad Asti in Palazzo Alfieri.

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